«Appena  sono arrivato pensavo di non continuare il mio lavoro, che sarei rimasto qui una settimana o due. Quando mi sono reso conto che sarebbero stati anni, ho capito che dovevo ricominciare da zero». Mahmoud Hariri è un pittore siriano di 25 anni. Dal 2013 vive nel campo profughi di Zaatari, in Giordania, allestito dall’Unhcr, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. E’ fuggito dal suo Paese a causa del conflitto che sta provocando migliaia di morti. Quando è scappato con la speranza di trovare un futuro migliore, oltre alla guerra, si è lasciato alle spalle un cumolo di macerie, perché buona parte del patrimonio artistico-culturale della Siria è stato distrutto durante i bombardamenti e dallo Stato islamico. Per questo, Mahmoud, Ahmad, Ismail ed altri artisti siriani, hanno deciso di ricostruire le opere andate distrutte, sbriciolate, vandalizzate. Un patrimonio di ricchezza e bellezza artistica che può essere spazzato via dalle bombe, dai bulldozer, ma non dai ricordi. Ed allora, la Siria torna a rivivere nelle opere dei rifugiati. 

«Molti ragazzi che vivono qui non hanno mai visto la Siria o non la ricordano. Conoscono più la Giordania che il loro Paese – ha detto Mahmoud –. Il progetto ha dato agli artisti un obiettivo, fare qualcosa per preservare la propria cultura»

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